Il volontariato (internazionale o a casa nostra) è adatto a tutti perché, lo dico sempre, ce n’è per tutti i gusti. Qualsiasi cosa ti appassioni, ovunque sia rivolta la tua attenzione, c’è sempre la possibilità di rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco. Puoi donare le tue capacità, la tua conoscenza o semplicemente il tuo tempo, ne vale sempre e comunque la pena.
Siccome in questo blog parlo quasi sempre delle mie personali esperienze, troverete più che altro quello che smuove me dalla mia zona di comfort: povertà e bambini. Specialmente quando le due cose si incontrano.
Ma oggi vorrei raccontare qualcosa di diverso per mostrare quanto è davvero diversificato questo mondo.
Il volontariato consapevole
Quando dico che fare volontariato è sempre una buona idea, do un po’ per scontato che si usi il buon senso. Purtroppo a volte la passione dei buoni intenzionati viene sfruttata e trasformata in un business che non fa bene né ai volontari né alle comunità. Vi ricordate la differenza tra volontariaro e volunturismo? Ecco. Veronica ci ricorda quanto sia importante scegliere il progetto “giusto”, che supporti il destinatario e non il nostro ego. Che sia adatto alle nostre capacità. Che tiri fuori il meglio di noi per il bene altrui.
Scegliere il progetto “giusto”
(di Veronica S.)
Io e il mio ragazzo, Daniele, abbiamo fatto volontariato per tre settimane in una ONG di Hanoi. Era un desiderio che avevo da moltissimi anni, che non ha fatto altro che crescere nel momento in cui ho iniziato gli studi e le prime esperienze lavorative in campo umanitario.
Il mio desiderio di fare volontariato all’estero era sempre accompagnato da molti dubbi, quindi il sapere come funziona il settore non-profit mi ha aiutato molto a prendere una decisione cosciente. È stato molto bello per me mostrare una parte del mio mondo anche a Daniele.

Non è stato facile selezionare il progetto giusto, che potesse essere utile e interessante per entrambi. Ma alla fine abbiamo scelto l’ONG vietnamita CSDS (Center for Sustainable Development Studies), che si occupa principalmente di empowerment dei giovani e di sviluppo sostenibile.
Tra le varie opzioni, abbiamo scelto il lavoro da ufficio perché non volevamo lavorare a contatto con i bambini, visto che ci saremmo fermati solamente tre settimane. Avendo poco tempo a disposizione, abbiamo aiutato a mandare avanti diversi progetti a cui stavano lavorando lo staff e i volontari a lungo termine. Ad esempio abbiamo aiutato a fare delle ricerche per la scrittura di un progetto, tradotto il file introduttivo dell’organizzazione in italiano e organizzato un workshop sulla fiducia in sé stessi per alcuni ragazzi che seguivano le lezioni di inglese organizzate dall’ONG.
L’esperienza più bella è stata la visita ad un villaggio rurale in cui CSDS, insieme ad altre ONG, ha sviluppato un progetto di community-based tourism, ovvero di sviluppo del turismo locale incentrato sulla comunità. Siamo rimasti tre giorni nelle loro homestay, abbiamo cenato e ballato assieme a dei volontari australiani che in un mese hanno costruito tanti pozzi per portare acqua alle case. Questi tre giorni sono stati una delle esperienze più intense, emozionanti e anche un po’ sconvolgenti (in modo positivo) fatte. Ne ho parlato più approfonditamente nel mio post sul volontariato in Vietnam.

In generale è stata una bellissima esperienza perché, oltre a passare le giornate in ufficio a lavorare insieme allo staff di CSDS, vivevamo in una casa con altri volontari, con cui ci siamo trovati molto bene. Uno dei weekend liberi, infatti, siamo andati assieme a fare trekking tra le risaie di SaPa, nel nord del Vietnam. Abbiamo deciso di unire volontariato e viaggi lavorando durante la settimana e facendo escursioni nel nord del paese nei weekend. Mentre dopo le tre settimane di volontariato abbiamo viaggiato verso sud per un’altra settimana abbondante.
Per chi ha molto tempo a disposizione, unire volontariato e viaggi è un’ottima opzione per dare indietro alla comunità che ci ospita e per capire meglio il suo popolo. Tuttavia, il tema del volontariato all’estero è un argomento molto più delicato di quel che si possa immaginare. Questo perché nonostante i volontari abbiano sempre le migliori intenzioni, non sempre la loro presenza apporta qualcosa di positivo. Come non sempre chi organizza esperienze di volontariato è mosso da buone intenzioni e ha a cuore il benessere di chi è coinvolto. Sicuramente consiglio a tutti di fare un’esperienza di volontariato, anche vicino a casa o online. E a chi vuole fare volontariato all’estero consiglio di informarsi bene sui progetti a cui vuole prendere parte per essere sicuro che il suo lavoro abbia davvero un impatto positivo sui beneficiari del progetto in cui è coinvolto.
Uscire dalla zona di comfort
Ci sono volontari per vocazione e a lungo termine, volontari a tempo breve e determinato e volontari sabbatici. Questi ultimi sono quelli che decidono di prendersi del tempo mettendo tutto il resto in pausa. Un tempo di riflessione, di scoperta, un tentativo di vita diversa, magari. Come Samanta, che molla tutto e parte.
Volontariato come cambiamento
(di Samanta B.)
A volte, chissà mai perché, ci sono decisioni che prendiamo d’istinto, senza nemmeno rendercene razionalmente conto. Nell’aprile del 2018, ad esempio, dopo aver parlato con una conoscente, ho scelto di lasciarmi la Germania alle spalle, almeno per un po’, e dedicarmi al volontariato. Dopo un paio di esperienze abbastanza deludenti in campo accademico e di fronte ad un lavoro sicuro ma stagnante, insomma, mi sono decisa: era ora di ripartire.
Dopo aver investito una manciata di decine di euro ed essermi concessa un account sul portale di Workaway, ho preso contatto con un residence in Portogallo che ospitava famiglie di disabili chiedendo di poter lavorare per loro. In cambio avrei ricevuto vitto e alloggio, oltre alla possibilità di scoprire questo o quell’angolo di Algarve. Il primo settembre dello stesso anno, quindi, con uno zaino in spalla e poco altro, questa mia nuova avventura ha finalmente avuto inizio.

In Portogallo, nel piccolo paese di Moncarapacho, ho gestito un piccolo parco animali adiacente al residence. Ho pulito quotidianamente recinti e voliere, preparato razioni, disinfettato morsi e, in capo a un mese, gestito il resto dei volontari e riorganizzato l’intero carico lavorativo. Mica male, no?
Cinque mesi dopo sono ripartita e ho iniziato a collaborare con una famiglia irlandese residente in Catalunia. Sinéad e suo marito James, anni prima, avevano iniziato a cercare di tutelare gatti randagi e animali abbandonati: offrivano loro un riparo e cibo sul porticato della loro villa coloniale. Poco a poco persino gli animali più titubanti si sono avvicinati e questa loro missione ha assunto dimensioni grandi al punto da spingerli a ricercare aiuto. Quando arrivai da loro, lo ricordo bene, contavano all’attivo due cani, una pecora e una ventina di gatti. Quando li lasciai per proseguire il mio percorso si erano aggiunti un cane e altri due gatti. Anche in questo caso, la mia quotidianità era fatta di pulizie, ciotole da riempire e tante piccole e grandi cose da imparare.
In entrambi i casi, peraltro, complice una manciata di giorni di riposo, ho potuto scoprire cittadine e borghi decisamente incantevoli. Con l’eccezione della zona di Albufeira, troppo turistica per i miei gusti, posso fieramente ammettere di aver esplorato praticamente l’intero Algarve. Ho passeggiato lungo la costa e mi sono avventurata nei borghi arroccati sulle colline un poco brulle di questa regione portoghese.
In Spagna, complice la vicinanza con Barcellona, ho potuto ammirare angoli diversi di questa metropoli e farlo poco a poco, senza fretta. Ho anche visitato Tarragona e Sitges, cittadine splendide che meritano davvero un po’ della vostra attenzione.
Non conoscendo il portoghese e parlando poco spagnolo, credetemi, a volte non è stato semplice. Soprattutto quando il mio interlocutore era un signore gentile quanto anziano che, ahimè, parlava solo catalano. A stupirmi, in ogni caso, è stato il mondo che prima di questa mia avventura chiamavo casa. Una volta atterrata a Berlino, pronta a rimettermi in moto, mi sono trovata di fronte tante piccole cose che, in qualche modo, non riconoscevo più. Dopo otto mesi di pura semplicità e di frugale minimalismo, la complessa Germania mi sembrava quasi una creatura fantascientifica. Ritornare alle vecchie consuetudini, insomma, ha richiesto un poco di tempo.
A tutti coloro che mi chiedono se ne vale la pena, nonostante il futuro incerto e la pressione sociale, dico: buttatevi. Fatelo per voi stessi e per il vostro futuro. In un modo o nell’altro, credetemi, ne uscirete cambiati, un po’ migliori e, con un po’ di buona fortuna, avrete persino trovato una nuova vocazione.

Le tesi di laurea, quelle belle
Ho cercato contatti per questo post in lungo e in largo, scegliendo esperienze diversificate e interessanti da raccontare. E poi un giorno un commento totalmente casuale su un articolo mi fa scoprire che si può fare un viaggio di volontariato non internazionale. Ecco Laura, che ha partecipato ad un progetto per il quale nemmeno sapevo si potesse fare volontariato: la lotta contro la mafia. L’ecomafia, nello specifico. E niente, ve lo faccio raccontare da lei che ne sa a pacchi, visto che ci ha scritto anche una tesi di laurea!
Libera e l’ecomafia
(di Laura)
La scelta di fare volontariato con Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, è nata nel 2015 dopo una tesi di laurea triennale sul fenomeno dell’ecomafia. Le ecomafie, prima di allora, rappresentavano per me una realtà totalmente sconosciuta. Ricordo che mi avvicinai per la prima volta a questo argomento nell’estate del 2014 dopo aver letto d’un fiato il libro di Roberto Saviano “Gomorra”.
Nel 2015, dopo la laurea, decisi di consolidare il mio impegno prendendo parte all’iniziativa di volontariato di Libera. Questa associazione si occupa, tra le tante attività, di organizzare campi estivi per bambini, ragazzi e adulti nei beni confiscati alle mafie. La principale funzione dei campi “E!State Liberi!” è quella di accrescere la consapevolezza dei partecipanti e di promuovere l’utilizzo sociale dei luoghi appartenuti in precedenza alla mafia e oggi tornati a disposizione della comunità. Io decisi di combinare anche l’utile al dilettevole scegliendo per il mio campo estivo la meravigliosa cornice di Favignana.
Durante la settimana di volontariato ho avuto modo di immergermi nella realtà locale e ascoltare le testimonianze di persone la cui storia era tristemente legata alla mafia. Ad esempio Margherita Asta che perse sua madre e i suoi due fratelli nella strage di Pizzolungo. Ogni giorno eravamo impegnati anche in attività di pulizia e riqualifica non solo dei beni confiscati ma anche delle spiagge.

Con gli organizzatori del campus abbiamo spesso aperto discussioni e ci siamo confrontati su vari aspetti legati al tema delle organizzazioni mafiose, specialmente in rapporto alla realtà di Favignana. Ho avuto anche modo di conoscere Don Ciotti, fondatore dell’associazione, da sempre promotore della lotta contro le mafie.
Ogni giorno a turno cucinavamo e mangiavamo insieme. Sei giorni di volontariato sono stati talmente pieni e densi di cose da fare che sono sembrati molti di più. Nelle ore di pausa abbiamo inoltre avuto modo di scendere in alcune cale, riempirci gli occhi della loro bellezza e immergerci nelle acque cristalline della Sicilia.
Il campo di volontariato Libera lo consiglio veramente a tutti, il costo è quasi irrisorio e l’esperienza di approfondire e toccare con mano delle realtà ancora troppo presenti nel nostro paese è certamente importante. Non c’è un limite di età, tutti possono far parte di Libera e dare il loro piccolo ma grande contributo.

Una Mzungu nel sud dell’Uganda
Lo so che avevo detto che non avrei parlato di bambini in questo post, ma quando Valeria mi ha raccontato la sua esperienza in Uganda, di cui parla anche nel suo blog MenteInViaggio, mi è venuto da ridere. Sono tornata da un viaggio di volontariato in Uganda da pochi mesi e mi ritrovo al 100% nelle sue parole! I bambini che ti toccano i capelli, le classi sovraffollate, la corrente elettrica che salta appena piove (o anche se non piove!)… e poi ancora il rapporto che gli ugandesi hanno con i mzungu, il verdissimo sud del paese e la visita ai gorilla di montagna di cui vi ho già parlato in altra sede. Tante esperienze in comune che mi hanno fatto ricordare e sorridere. Ecco il suo racconto: spero faccia sorridere anche voi!
Dal lavoro in sede al lavoro sul campo
(di Valeria S.)
L’ultima esperienza di volontariato (e forse quella più significativa) è stata nel 2018, in un minuscolo villaggio nel sud dell’Uganda. Già da un po’ di tempo mi ero avvicinata, come volontaria, alla Fondazione Mission Bambini, che eroga fondi per progetti in varie destinazioni del mondo, soprattutto in ambito educativo e sanitario. Fino a quel momento, mi ero occupata di lavori in sede (supporto alla raccolta fondi o alla reportistica dei progetti), ma avevo comunque dato la disponibilità a partire. L’Africa era stata la mia prima scelta, in maniera irrazionale: c’è sempre stato un legame viscerale con questo continente e una sorta di senso di colpa atavico per come è sempre stato trattato dal mondo occidentale.

Il progetto nella comunità di Kitanga consiste in una scuola elementare e d’infanzia. E’ una struttura che si è sviluppata intorno a una parrocchia e al suo carismatico parroco (che ha partecipato anni fa anche alla scrittura della costituzione ugandese!). La scuola è privata e, come spesso accade in Africa, la maggior parte dei bambini soggiorna direttamente qui, perché sarebbe impossibile muoversi ogni giorno dai villaggi vicini, soprattutto senza un’auto. I bambini quindi ricevono qui anche 3 pasti al giorno (4 pasti per quanto riguarda i bimbi più piccoli). Grazie ai finanziamenti ricevuti, la scuola può ospitare anche bambini di famiglie che non potrebbero coprire la retta.
L’attività dei volontari è in primis di monitoraggio del progetto per conto della Fondazione. L’attività quotidiana prevede, poi, attività di animazione e studio con i bambini, preparazione di giochi, realizzazione di piccole lezioni in inglese, gestione delle ore di educazione fisica. Si tratta, quindi, di promuovere più che altro uno scambio culturale con la comunità che, lontana dalle grandi città, ha poche occasioni di conoscere qualcosa del mondo che c’è fuori dalla parrocchia.
E’ certamente necessario un minimo di spirito di adattamento perché, banalmente, non si ha sempre l’acqua calda e la luce salta spesso. Devo dire che però il mio shock culturale è stato ridotto al minimo. Quasi tutti, persino i bambini, parlano un po’ di inglese, quindi non ci sono stati grandi problemi linguistici. I membri locali del progetto hanno cercato di coccolarci e di farci sentire come ospiti graditi in tutti i modi possibili. Certamente può essere faticoso trovarsi tutto il giorno a contatto con i bambini: le classi sono numerose, anche 90 bambini ciascuna. E i piccoli amano moltissimo gli ospiti, al punto che hai quotidianamente 4 o 5 “piccoli koala” appesi alle braccia, che ti toccano, vogliono sentire la tua pelle o pettinarti i capelli… dopo ore in loro balia, hai bisogno di uno spazio tuo per rielaborare tutte le emozioni della giornata.
Un altro tema, su cui chi vuole partire dovrebbe essere preparato, è l’innegabile squilibrio delle posizioni. Tutte le persone con cui ti rapporterai hanno ben chiaro che tu sei un privilegiato, un muzungu, un uomo bianco. Vedere colleghi locali che ti chiedono regali o favori è difficile da gestire: vorresti aiutare, sai che non è proficuo instillare il germe della dipendenza, a volte ti senti “usato”. Anche questo però è foriero di riflessioni e di apertura mentale.
L’esperienza a Kitanga mi ha consentito anche di scoprire un po’ il paese, perché ho potuto fare alcune gite nei fine settimana o nei tempi morti. L’Uganda è un Paese verdissimo e con una natura rigogliosa. Il lago Bunyonyi è uno spettacolo da cartolina. Per me però, sopra ogni altra escursione, il viaggio in Uganda è stata l’occasione di fare una di quelle esperienze che avevo da anni nel mio “cassetto dei sogni”: vedere i gorilla di montagna nel loro habitat, in occasione del trekking nella Foresta di Bwindi.

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ANTONELLA MAIOCCHI
Ho fatto anche io alcune piccole esperienze di volontariato e un concetto che tu esprimi molto bene e nel quale mi ritrovo totalmente è quello di capire se il volontariato fa bene solo a te che lo fai e se veramente porta beneficio ai luoghi e alle persone. Me lo sono chiesto tante volte anche io perchè spesso mi sono sentita goffa e invadente in una realtà che seppur povera aveva un suo equilibrio che non possiamo e non dobbiamo sconvolgere con le nostre abitudini e le nostre imposizioni anche se in buonafede.
The Lady
Hai assolutamente ragione. Essere in buonafede a volte non basta proprio! Purtroppo scegliere bene non è sempre facile: un progetto può sembrare buono su carta ma funzionare male in loco, o magari le nostre capacità non sono quelle davvero necessarie, o addirittura è tutto assolutamente perfetto e, di fatto, non hanno bisogno della nostra presenza (che come dici tu potrebbe compromettere equilibri delicati) ma solo di finanziamenti. Tante cose difficili da valutare, soprattutto quando lo si fa a distanza!
Claudia
Che esperienze bellissime! Anche io ho fatto studi in relazioni internazionali e mi sarebbe piaciuto moltissimo fare un’esperienza di volontariato all’estero. Purtroppo (ma neanche tanto) la vita mi ha portato da un’altra parte e non ho mai avuto il tempo o l’occasione giusta. Ora che ho un bimbo piccolo poi non è proprio più possibile purtroppo….
The Lady
magari quando il bimbo sarà cresciutello potreste fare qualcosa insieme! 🙂
Paola
Anni fa avevo preso in considerazione questa esperienza, con la volontà di farlo nelle zone del Matcu Picchu, poi gli eventi hanno preso il sopravvento e non sono più partita. Oggi non so se me la sentirei. Credo si qualcosa di molto profondo, che va al di là del viaggio o del volontariato che puoi fare sotto casa. E’ senz’altro un’esperienza molto intensa, così l’hai trasmessa in questo post.
The Lady
E’ sicuramente diverso dal volontariato sotto casa, hai ragione. E non ha niente a che vedere con un viaggio “normale”! Sarei curiosa di sapere perché ora non te la sentiresti più di partire 🙂
paola
Meravigliosa esperienza quella del volontariato. Tutti dovrebbero provare la faticosa gioia di essere utili agli altri e indirettamente a se stessi. Sto convincendo mia figlia a partecipare nei prossimi anni a uno dei molteplici progetti di volontariato nel mondo. Magari ci vado anche io…
The Lady
Ad un progetto in Africa, qualche anno fa, c’era una famiglia intera: madre, padre, ragazzina (tipo 13-14 anni) e adolescente scellerato (sui 18). Il progetto non era niente di complicato, fondamentalmente si trattava di intrattenimento bimbi e qualche lavoro manuale, quindi assolutamente accessibile a chiunque. E la famiglia si è divertita da morire!! Tutti e 4. Alla fine anche il l’adolescente scellerato era super preso bene dall’esperienza! Manda tua figlia! O portala! Sarà un’esperienza incredibile da condividere!!! 😀
silvia terracciano
I viaggi di volontariato dove si può unire il turismo con l’aiutare gli altri che siano essere umani o animali sono esperienze dal valore aggiunto che si ricordano per tutta la vita secondo me con nostalgia, ma anche con la consapevolezza di aver fatto del bene.
The Lady
Sicuramente sono un ricordo che dura a lungo!! 🙂