E’ passato un anno da quando sono sbarcata a Santa Cruz de Tenerife, iniziando una nuova avventura di vita con una valigia e un contratto di 3 mesi in mano. Tra pandemia e trasferimento, posso dire che in questi ultimi 12 mesi me ne sono successe veramente di tutti i colori!
Non tutto è stato negativo, per fortuna. Per esempio il mio contratto, proprio a causa della pandemia, si è magicamente prolungato e prolungato e prolungato… E un anno dopo, infatti, sono ancora qui a Tenerife, con la fortuna di essere tuttora impiegata a tempo pieno.
Ho avuto la possibilità, tra un lock down e l’altro, di visitare anche alcune delle altre isole canarie. Un weekend a La Gomera ad esplorare il Parco Nazionale Garajonay, una settimana a Lanzarote e La Graciosa e un’altra a La Palma. E sono contenta di poter dire che Tenerife me la sono, piano piano, vista quasi tutta in lungo e in largo.
Ed è ora di tirare le somme di cosa ho imparato in questi 12 mesi sulla mia isoletta nell’Oceano Atlantico, che fa parte della Spagna ma che è spesso un altro mondo. Un po’ più Africa e un po’ meno Europa!
Ecco una lista di cose buffe, frustranti o semplicemente diverse che ho imparato qui a Tenerife.
I diminutivi
Le Canarie sono piccole e qui tutto è un po’ sottodimensionato. Dalla produzione di (ottimi) vini scarsamente esportati a cittadini “dall’altra parte dell’isola” che ci si impiega sì e no mezz’ora a raggiungere, a scuole di ben 8 alunni, tra classi di scuola materna ed primaria.
Dev’essere per questa ragione che a Tenerife parlano con un’insensata quantità di diminutivi.
Qualche esempio?
Chiediamo il conto al ristorante: non è “la cuenta” come nel resto della Spagna, qui è “la cuentita”, ovvero “il conticino”. Anche fosse di 500 euro.
Gli euro stessi, sono spesso ridimensionati. Per esempio, spesso si chiede di mettere “10 euritos de gasolina”, perché 10 euro sarebbero troppi, ma 10 eurini vanno molto meglio.
Ad uscire la sera bisogna sempre portarsi “la chaquetita”, che non è “la chaqueta” spagnola, ma più in generale quel capo di vestiario da mettere sopra, anche fosse solamente una felpa.
E arriviamo al più bello, il più eclatante e assurdo: il saluto definitivo. “Hasta lueguito“. Ovvero, “a dopino”. Altro che “ciaone” de’ noantri!
L’approccio informale con lo/la sconosciuto/a: mi niñ@
A parte il “buon giorno” iniziale, qualsiasi altra frase rivolta ad una persona sconosciuta a Tenerife può tranquillamente terminare con “mi niña” o “mi niño“, “bambino/a mio/a”.
- Hai bisogno d’altro, mi niña?
- No grazie, mi niño.
- Allora fanno 5 euro, mi niña.
- Grazie, alla prossima, mi niño!
Una conversazione assolutamente normale.
In Toscana ho sentito spesso usare “le bimbe” per riferirsi, per esempio, al gruppo di amiche o di colleghe. Potrebbe essere un’idea simile, ma con la differenza che vale anche per i maschi, anche se leggermente meno diffuso, e ignora qualsiasi limite di età. Ho sentito giovani commesse chiamare mi niña l’anziana cliente che poteva essere la nonna. E’ piuttosto tenero!
La flemma canaria: i tempi, la burocrazia e le poste
- Io – Ci vediamo alle 7, ok?
- L’altro – Ok!
- Io alle 7.00: nel posto stabilito.
- L’altro alle 7.00: a casa a farsi la doccia, cucinare, cenare, guardare le news, passare a salutare mamma. Eccomi, è stato che aspetti?
“Arrivo tra 5 minuti”, in verità significa “hey, sì, con calma, adesso arrivo… Que pasa, ¿tienes prisa? ¡Despacio, mi niña!”
A Tenerife e nelle altre isole si trascorre una vita lenta. Questa flemma rilassata, un po’ sudamericana, è intrinseca nel dna del canario. La si ritrova ovunque. Purtroppo anche dove una poveretta come me (milanese fin nel midollo e che ha vissuto per una decade nel nord d’Europa e si è abituata a certi standard di efficienza) immagina non possa esserci.
La burocrazia
E quindi eccoci a trattare la burocrazia canaria, ovvero il next level della burocrazia spagnola. Che a sua volta è il next level di quella italiana. Non voglio sapere che paese ha il livello finale. Davvero, non ditemelo.
Avete mai visto questo corto? Prendetevi 3 minuti, li vale tutti.
Un vecchio classico. Tanti diranno che è come in Italia. Può essere. Vivo all’estero da così tanti anni e mi sono talmente abituata a una burocrazia che, bene o male, funziona decentemente, che qui tutto mi sembra fatto apposta per complicare la vita alle persone. L’ho descritto più volte come una corsa a ostacoli. Una fatica!
A volte sembrano avantissimo. Per esempio puoi ordinare online l’abbonamento del bus. Peccato che poi per ritirarlo devi andare di persona all’ufficio e fare la fila. C’è un app per prenotare gli appuntamenti dal medico e vedere la tua cartella clinica. Poi provi a parlare con qualcuno al telefono all’ospedale per una questione importante e vieni rimbalzata da centralino a telefono che suona a vuoto a segreteria telefonica a numero errato.
Il servizio postale
Una delle cose più frustranti per me è il servizio postale. Iniziamo a dire che la maggior parte dei rivenditori di Amazon e altri provider internazionali non spediscono alla Canarie. Che già di per sé sarebbe una punizione da IV girone dell’Inferno… Ma spedire una lettera o un pacco fuori da Tenerife (o riceverne una) è un’impresa titanica.
Il mio numero tracking mi ha fatto seguire le peripezie omeriche della mia busta:
- Una settimana dall’ufficio postale dove l’ho lasciata al “centro internazionale” sull’isola. Probabilmente un viaggio di qualche decina di chilometri.
- Due settimane abbondanti dal “centro internazionale” al “Dispaccio per l’estero” (A Madrid, credo)
- 4 Giorni per Milano
Un mese, UN MESE per far arrivare una lettera da Tenerife a Milano.
La passione per il carnevale
Per i residenti, il carnevale di Tenerife è uno dei momenti più emozionanti dell’anno, un evento da non perdere, il momento culminante della vita sull’isola.
Inizia qualche settimana prima del giorno ufficiale di Carnevale, con spettacoli live e concorsi trasmessi in televisione. C’è l’elezione della regina del Carnevale, la gara per la miglior “comparsa” (gruppo di ballo accompagnato da alcuni strumenti, per lo più a percussione) e ”murga” dell’anno (coro più o meno a cappella).
Le feste per le strade durano una decina di giorni attorno al carnevale e includono un paio di lunghissime sfilate con i vincitori dei concorsi e altra gente festante, concerti, street food, giostre e tanto, tantissimo alcohol.
L’intera isola si precipita a Santa Cruz de Tenerife, la capitale, a celebrare fino a mattina, ballando e bevendo per le strade travestiti da qualunque cosa.
Il carnevale qui non è una festa prevalentemente per bambini. Tutti si travestono. E più le ore della notte passano, meno sono le probabilità di incontrare qualcuno che non si sia travestito. Come dire, finché porto in giro i figli piccoli, posso anche uscire in jeans e maglietta. Ma se sono io stesso fuori a festeggiare, allora devo per forza mettermi una maschera e un vestito di carnevale vero e proprio!
Per quanto lo spettacolo sia coinvolgente, ammetto che la decenza e il buon senso cittadino viene presto affogato nei superalcolici. Qualche tempo fa ho raccontato del Gentse Feesten: una 10 giorni no stop di musica e spettacoli per le strade di Gand, in Belgio. Il carnevale di Santa Cruz de tenerife mi ricorda moltissimo questa festa fiamminga. Ovviamente la differenza principale sono i travestimenti, assenti in Belgio.
Lo spagnolo canario: guagua e altri termini indigeni
Il mio spagnolo va lentamente migliorando. Il lockdown non mi ha aiutato, ma piano piano imparo e divento più fluente. Già, ma come parlo? Parlo canario. Uno spagnolo che ha una pronuncia più simile a quella sudamericana che a quella peninsulare. Che usa parole come “guagua” invece di “bus”, come nel resto del mondo. Mi sto abituando a mangiare al guachinche, ad andare al playuco nel weekend, ad ordinare il barraquito al bar, a mettere diminutivi ad ogni tre parole. Non so cosa penserebbe uno spagnolo continentale del mio linguaggio, ma suppongo qualcosa tipo “Ma dove ha studiato, questa???”
Ma a Tenerife va bene; qui sono a casa.
E allora sono pronta ad affrontare un altro anno (o quel che sarà) sulla mia isoletta nel mezzo dell’oceano!
Hasta lueguito, mi niños! 😉
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Raffaella
Davvero interessante: anch’io pensavo che le Canarie fossero un universo a parte, nè Spagna nè Africa. Da quanto scrivi, però, vedo tantissime usanze e modi di esprimersi simili all’Andalusia, terra dove vivo da ormai 12 anni. Qui, ogni volta che mi apostrofano con un “reina” o “mi niña”, a me scappa ancora da ridere!
The Lady
Reina 😍😍😍 adorabile!!! 😀
Teresa
Penso sia una bellissima occasione vivere e lavorare in un paese straniero, avere il tempo di visitarlo e scoprirlo veramente, non da turista, ma da local. Imparare le sfumature della lingua, le abitudini, anche buffe dei suoi abitanti. Conoscere persone. Scoprire luoghi autentici, non patinati. Buona permanenza!
The Lady
Grazie! Sì, sicuramente vivere in un posto te lo fa vivere in maniera totalmente diversa dal turista, nel bene e nel male!